Si sono aperti nella mattina del 23 maggio, i lavori della 90ª assemblea semestrale della Unione dei Superiori Generali (USG). Il “tema d’obbligo” – in questa stagione della vita ecclesiale – non poteva che essere quello di una particolare attenzione ai temi del “Sinodo dei giovani”. I superiori generali presenti (più di un centinaio), fin dai primi interventi, hanno perciò provato a mettersi in ascolto di quello che una sempre più concreta attenzione al mondo giovanile potrebbe significare per una vita consacrata realmente più “generativa”.
Dopo la parola di benvenuto da parte del presidente USG, Mauro Jhöri, il prof. Diego Mesa, della Cattolica di Milano, ha posto a tema il mondo dei giovani nel mondo interculturale di oggi.
Accogliere, testimoniare, lasciare liberi i giovani. È l’indicazione rivolta da frére Timothée, della comunità di Taizé che ha preso la parola a seguire. Per il monaco, proprio l’ultimo atteggiamento – quello di lasciare liberi i giovani – è oggi forse la più grande sfida quando ci si confronta con loro. È infatti essenziale, ha rilevato, che i giovani “si sentano liberi, che non siano monopolizzati in alcun modo, né pastoralmente, né emotivamente”, lasciando loro uno “spazio libero per avanzare verso Dio”. Durante i lavori, dedicati ad una riflessione sui giovani anche in vista del prossimo Sinodo dei vescovi, è intervenuto anche il gesuita Giacomo Costa, segretario speciale del Sinodo. Costa ha illustrato il percorso fatto fino ad oggi nella preparazione e nelle tematiche di fondo dell’imminente “Instrumentum laboris”. Ha sviluppato in particolare le sue tre parti centrali: “I giovani e il contesto odierno, il discernimento vocazionale, la Chiesa nel solco della Evangelii gaudium”. “Essere giovani oggi nella cultura dello scarto, di fronte alle sfide antropologiche e culturali” del nostro tempo, ha osservato, “è una prospettiva di vita quanto mai aperta. Proprio in un contesto come questo i giovani oggi chiedono alla Chiesa di aiutarli a trovare una più ampia comprensione della ‘vocazione’, ben al di là delle vocazioni di speciale consacrazione”. Anche questo manifesta il desiderio di una Chiesa più autentica, più relazionale e meno istituzionale.
“Oggi è Dio che chiama meno persone o forse non è più frequente il fatto di non sentire la sua chiamata? Viviamo in un mondo secolarizzato e secolarizzante, da cui non è immune neanche la vita religiosa”. Lo ha detto il salesiano irlandese Eunan McDonnell. “Come Gesù che vede Zaccheo e cambia il programma della sua giornata, così anche i religiosi impegnati nella pastorale giovanile sono chiamati a mettere da parte i loro programmi per poter rispondere in maniera convinta alle necessità dei giovani”, ha aggiunto. Il salesiano ha invitato a ricordare “quante volte oggi le esperienze formative di tanti giovani sul piano religioso non sono solo inconsistenti, ma addirittura inesistenti”. “I consacrati per primi dovrebbero allora interrogare se stessi se, anche nella formazione di un giovane religioso, una pseudo spiritualità non prenda spesso il posto della spiritualità evangelica vera e propria”. Così McDonnell ha posto l’esempio di quanto accade negli Stati Uniti . “Tra gli adolescenti statunitensi, ad esempio, le vere e proprie religioni dominanti sono quelle del ‘sentirsi bene, essere felici, sicuri, in pace’. Non è forse il frutto, questo, del fatto di aver offerto ai giovani una ‘teologia a buon mercato?”. Il salesiano ha osservato poi come “l’eclissi di Dio nella vita di tanti giovani oggi potrebbe essere la conseguenza anche di una sempre più debole testimonianza dei religiosi”. “Non basta aiutare i giovani a individuare le ispirazioni di Dio – ha concluso –. Bisogna anche saper leggere i segni dei tempi in cui si muove lo Spirito oggi”.
Interessante anche l'intervento di Aikee Esmeli, fratello delle scuole cristiane delle Filippine:“Non si può parlare e interagire con i giovani oggi ignorando il mondo digitale. I giovani hanno fatto della tecnologia e dei nuovi mezzi di comunicazione sociale una parte indispensabile della loro vita. Trasparenza, autenticità, coerenza, sincerità, per le giovani generazioni di oggi passano attraverso il digitale”. A suo avviso, “senza social media e reti sociali online sarebbe oggi difficile arrivare a una conversazione o attrarre i giovani, fino a diventare anche un modo indiretto per promuovere vocazioni religiose”. Così Esmeli ha posto alcune domande su cui riflettere. “Come giovane religioso – ha detto il relatore – anch’io credo che le nostre comunità religiose abbiano bisogno di cambiamenti strutturali”. I giovani da sempre sono stati “voce di speranza e della coscienza contro strutture apparentemente logore create dalle generazioni che li hanno preceduti”. “Andrebbe data voce – ha concluso – alle loro osservazioni e ai loro suggerimenti di innovazione per continuare a crescere sia nella società che nella Chiesa”.
“Non ci si dovrebbe mai stancare di ascoltare i giovani e di offrire loro nuove prospettive”, fa notare nello stesso pomeriggio, il gesuita padre Stanko Perica, riferendosi al tema delle vocazioni: “i numeri dell’Europa centro-orientale siano notevolmente più alti rispetto a quelli dell’Europa occidentale”. A suo avviso, “non si tratta di un problema puramente demografico quanto piuttosto dell’elemento mistico rimasto più presente nelle Chiese più tradizionali”. Il gesuita ha osservato come “soprattutto nei paesi ex comunisti c’è oggi un urgente bisogno di testimoniare la gioia di essere cristiani”. E i religiosi, a suo avviso, hanno “le condizioni ottimali per fare questo, a patto di sentirsi più intensamente uniti fra loro”. “È un fatto che i giovani oggi apprendono più facilmente dall’esperienza che non dai concetti astratti. Se è vero che si può vedere e giudicare soprattutto agendo, allora questo dovrebbe essere un punto di non ritorno del lavoro dei religiosi con i giovani”.
Non potevano mancare le testimonianze di giovani e di chi li affianca quotidianamente nelle periferie come contributo significativo ai lavori. Particolarmente sofferta l’esperienza condivisa dal fratello marista Georges Sabe sulla Siria di oggi. Parlare dei giovani oggi in Siria significa parlare di “tutto un Paese, tutto un futuro, tutta una realtà, tutta una speranza”, ha evidenziato. Fin dagli inizi del conflitto in corso non poche famiglie hanno preso la via dell’esilio. Sabe ha raccontato come i primi ad andarsene sono stati i giovani. Di fronte a tante famiglie divise, destrutturate, anziani abbandonati dai figli, non è difficile parlare di una vera e propria catastrofe umana e demografica. Anche di fronte all’avvento dello Stato islamico, ha osservato il marista, le urgenze fondamentali oggi sono quelle di ristabilire relazioni millenarie, difendere la vita in comune, rifiutare lo scontro delle culture, superare i pregiudizi, imparare a perdonare e a riconciliarsi, evitando che si vada radicando nella memoria comune cristiana del Medio Oriente una rappresentazione negativa dell’islam.
Un altro spaccato, non meno drammatico, è stato offerto dalle voci brasiliane di fra Diego Atalino de Melo e di Mariana Rogoski. Di fronte ai superiori generali, fra Diego, minore francescano, ha cercato di fornire un quadro sintetico relativo ad uno straordinario e coinvolgente lavoro sviluppato con la gioventù della provincia francescana dell’Immacolata Concezione in Brasile nel corso di questi ultimi cinque anni. Mariana, trentenne, con alle spalle una vita di complessi problemi personali e familiari, li ha potuti definitivamente superare inserendosi attivamente, dal 2015, nelle missioni francescane della gioventù nella città di Concórdia. Dopo il suo incontro con i francescani, la sua vita, ha detto, è diventata un’altra; come una “santa in jeans” (Giovanni Paolo II), vorrebbe realmente poter vivere e diffondere soprattutto tra i giovani la gioia del Vangelo.
I lavori si sono conclusi con i saluti del Presidente nella giornata del 25 maggio.